Sono seduto sulla panchetta fuori casa. Di fronte a me, oltre il paese, le montagne.

Padola e le Dolomiti di Padola viste dalla casetta dei nomadi digitali

Ho guardato per due mesi di fila, ogni giorno, la striscia bianca della pista da sci tagliare in verticale il bosco. Negli ultimi giorni il bianco si è come scollato, scoprendo una striscia parallela di verde bruciato, quasi giallo. Sopra il limite del bosco, invece, le montagne vere sono sempre lì, bianco-innevate e spigolose. Però oggi nel vallone sono apparse due quiete, enormi slavine. Dopo quaranta giorni, mi sono reso conto che quando la campana del paese suona, il pomeriggio – il campanile si trova perfettamente di fronte a noi, seduti sulla panchetta a leggere – una leggera eco ritorna dalla fine della via, alle spalle di casa. Dopo quarantacinque giorni, Silvia ha notato che dal salotto-cucina-studio di casa si vede, durante i rintocchi, la campana che ondeggia. Negli ultimi giorni, la vicina lascia le galline razzolare fuori dal recinto, su un rettangolo di giardino infine lasciato libero dalla neve: scostano l’erba, sgrattano la terra, fanno le loro cose finalmente al sole (e non minacciate da quell’ultimo altissimo brandello di cornicione di neve). Galline, galli e paperi degli altri vicini invece sono cresciuti di dimensioni e di attività. Dieci giorni fa, andando verso il paese per comprare pane e carne, mi sono accorto che dalla neve lungo la strada è spuntata una fontana, con rubinetto, getto d’acqua e tutto. Nel corso degli ultimi trenta giorni, in ordine sparso e in giro per il paese, sono emersi dalla neve: la metà superiore di un gufo di legno gigante e bicefalo, un cappello di lana, delle sagome di bambini, una sciarpa di lava, il cannone di un carrarmato, un’aquila di bronzo, la metà inferiore del gufo di cui sopra, la già nominata fontana, alcuni degli anziani del paese. Ah ma l’è ncamò saró el bar?, domandano appena tornati in temperatura. Negli ultimi giorni, anche, sono aumentati per quantità e varietà i trilli degli uccelli, che la mattina iniziano sempre prima a cantare. Nel frattempo, al bordo delle radure, il bosco si libera dalla morsa bianca: prima in avvallamenti attorno ai tronchi degli alberi, poi in buchi perfettamente circolari, poi in isole di terriccio e aghi di abete. Sulla neve residua e circostante, un mare di pigne, semi, aghi, rametti, gusci, muschi e licheni secchi.

C’è insomma un movimento in avanti di tutte le cose, impercettibile, microscopico, eppure evidente – se solo lo osservi, se lasci che le cose in movimento ti coinvolgano.

Mi chiedo se, stando qui, il mio corpo prenderà prima o poi le proporzioni e la legnosità di quelli dei contadini scolpiti nelle composizioni lungo il troi – sentiero – dei contadini: braccia rettangolari, pettorali rettangolari, gambette tozze, immancabile camicia da lavoro, barbona, strumenti pesanti per sbazgare (= lavorare sodo). Percorrendolo di giorno in giorno, il troi, i piedi affondano sempre di più: dove prima galleggiavano sulla crosta ghiacciata, ora rischi di finire dentro fino al ginocchio.

Il bianco sui tetti si ritira in onde diverse, rattrappisce, si sgonfia. Il gocciolare dai tetti è aumentato, il torrente si è liberato dalla neve e di notte il suo gorgoglìo sembra una pioggia costante.

Sul limitare del bosco, appunto, oggi, siamo distesi a chiacchierare e inresinarci i pantaloni. La conca innevata davanti a noi è bellissima. La neve coperta delle cose del bosco, il sole fortissimo, caldo da maniche corte. Gli scarponi invernali bollono.

Primavera a Padola in Comelico

Il discorso è questo, dico a Silvia: c’è un essere nomadi digitali dei viaggi e del cambiare orizzonte come trottole, degli aperitivi vista spiaggia, del lavoro al computer, ecco: quella è la parte digitale della cosa, e il fatto che lavorare al computer manchi di componente fisica, e sia follemente veloce, va controbilanciato in qualche modo; e quindi sì, ci deve essere la parte del nomade, però di quel nomade che si sistema in un suo angolo per il cosiddetto qualche tempo e impara a conoscere quello che ha attorno in ogni suo dettaglio più minimo, anche solo stando, così – per assaporarlo.

Ci tiriamo su, ci avviamo verso il paese. Scendendo – un po’ faticosamente, c’è da dire – tra piccoli saliscendi innevati, tentando di evitare la profonda incisione di un ruscello che da risalire sarebbe uno strazio, in un caldo fuori norma – niente a che vedere con alcuni geli di un mese fa – scendendo, insomma, penso che solo guardando le cose evolvere piano, le vivi: altrimenti, sono solamente cartoline.

Belle, eh. Con sul retro le tue emozioni. Ma cartoline.