[Questo racconto è uscito per la prima volta in Fuori Traccia, la newsletter di bagaglio Leggero.]
Arrivare e scendere dalle montagne in Patagonia è davvero complicato se non hai un’auto.
Eppure è in questa incertezza di tragitti, lunghi, estenuanti che mi arriva come un fulmine la certezza di cosa prendo da questo viaggio in Argentina.
Scendendo dal Cerro Lindo incrociamo una signora che rientra in città e prendiamo un passaggio (impossibile dire se sia un autostop o un taxi, qui le cose sono molto commiste), fatto sta che l’auto si ferma due volte prima di arrivare a destinazione.
Una volta arrivati davanti casa, l’auto fuma. Apre il cofano e con una mossa velocissima apre contemporaneamente il tapon dell’acqua. È tutto un fumo.
L’aiutiamo a mettere dell’acqua nel serbatoio, ma questa subito esce da sotto l’auto.
A questo punto è chiaro a tutti che c’è un problema e, come spesso accade in questi casi, a problema si aggiunge problema: la signora si è dimenticata il telefono a casa, non si ricorda il numero del marito, con il nostro telefono non possiamo fare telefonate a numeri fissi ed è già troppo tardi per chiamare un meccanico.
Davide si allontana per prendere altra acqua e una torcia, io cerco di fermare due passanti per strada che però non hanno soldi nel telefono.
Torno dalla signora, più per non lasciarla da sola che per reale aiuto e lei in tutto ciò mi rivolge un sognante “ah, me incanta la tarde” (ah, mi piace molto quest’ora della sera).
*
Domenica prendiamo un bus, la Golondrina si chiama. Un’ora su una strada scalcagnata che non è solo polverosa, è proprio che non disastro di buche e sassi giganti.
Insieme a noi sale un ragazzo giovane con una camicetta a fiori piuttosto appariscente e il nostro autista si illumina “Ahi! Què camiseta! Se la vende, jo la compro per andare a ballare con la mia sposa” seguono risate, seguono trattative, segue lo scoop: “la mia sposa è qui e sta viaggiando insieme a voi”.
Due fermate dopo scende “per andare a cambiare i soldi” (qui un viaggio costa circa 0,80€ per un’ora) e risale con un gelato che consegna nelle mani di un bambino.
Non solo c’è sua moglie sul bus, ma anche suo figlio.
È domenica, la famiglia sta insieme.
*
Un altro giorno, un’altra Golondrina. E con noi sale un signore. 60 anni, una giacca che doveva essere bianca, pochi denti, una chitarra che doveva avere tutte le corde.
Il bus parte, lui si alza in piedi con il piglio di chi sa cosa sta facendo.
Dapprima ci guarda e ci dice che El Bolson “es muy hermosa”, segue spiegazione delle montagne che ci circondano, ma sempre più velocemente inizia a canticchiare qualcosa. Imbraccia la chitarra e ne esce una canzone che mescola un patriottico “jo vivo in Aaaaaargentina” alla sua storia personale, mezzo cantata, mezzo parlata.
Una moglie morta, un figlio perso l’anno dopo, la sua fuga da Buenos Aires verso un posto più tranquillo. Un velo di malinconia, ma subito arriva un’altra canzone che è un inno alla vita che mi commuove nel profondo.
*
E mentre sale un ragazzo gaucho col pugnale infilato nei pantaloni, mentre mi sposto per lasciare spazio ad una signora con le borse della spesa, mentre l’autista del bus mette la musica dal telefono a tutto il volume, mentre cerco di capire come aprire la porta del taxi visto che l’auto non ha maniglie, mentre assorbo tutto questo ho una certezza.
Quello che prendo da questo posto è questa incredibile voglia di vita. Non so ancora quello che sto lasciando qui, spero di riuscire a dare qualcosa di importante, nel frattempo batto le mani al ritmo di musica, canto e sorseggio il mate che mi viene offerto nel bus.
Ancora un sorso di vita, grazie.
Ciao! Siamo Silvia e Davide, nomadi digitali in versione montanara. Entrambi liberi professionisti – copywriter (Silvia) e ghostwriter (Davide) – da 4 anni abbiamo scelto di vivere tra le montagne, spostandoci di valle in valle. Sul blog e sui social raccontiamo le terre che ci ospitano.
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