Guardiamo la carta con gli occhi ancora addormentati. Per due come noi il tarvisiano è un paradiso: le dita scorrono veloci lungo le linee rosse, i pallini e le crocette della topografica.

Come scegliere un sentiero

Alle volte, a non essere chiaro è il punto di partenza: chiedilo ai climbers che si perdono cercando la traccia tra i mughi che porta all’attacco di una via. Altre volte, è lo svolgimento ad essere confuso: i segnavia non si vedono, la vegetazione ha invaso il sentiero oppure, dopo lo scioglimento delle nevi, un ghiaione non è dove deve essere.

E poi ci sono sentieri che, anche a guardarli in carta, non ne capisci il senso. Alla fine del segno rosso non c’è l’agognata casetta del rifugio. Non c’è un lago alpino dalle acque di un blu commovente, e non c’è nemmeno una forcella, una spalla o una valico che scavalla sull’altrove versante.

Cosa te ne fai di un sentiero così?

Niente: lo provi, e vedi dove va a parare. Noi abbiamo deciso di provare a capire il sentiero Marco Martinolli.

sentiero Martinolli

Il sentiero 616

Benvenuti in Val Saisera, ti dicono i pannelli appena superi l’abitato di Valbruna. Direzione sud, i boschi coprono alla vista quella che sarà la prima sorpresa della giornata. Lasciamo la macchina presso l’ultimo parcheggio disponibile (900 mslm), e ci avviamo lungo la forestale.

Meno di tre minuti per raggiungere il ponte sul torrente Saisera, ed eccola: la parete sud del Nabois Grande, una sezione di montagna liscia, regolare, apparentemente verticale, 1000 metri di roccia chiara senza soluzione di continuità. A distrarci dai sogni di alpinismo sono due asinelli liberi, che scendono da una forestale sulla nostra sinistra e ci precedono giocando tra loro.

La direzione che abbiamo preso è quella del rifugio Pellarini: il sentiero 616 ci arriva diretto, trasformandosi da ampia forestale a erta salita a circa mezz’ora da dove ci troviamo. Sulla nostra destra troviamo diversi punti d’accesso al Sentiero degli Abeti di Risonanza (The Forest Sound Trek), un percorso attraverso il bosco dove crescono alberi che danno il loro legno per la costruzione di strumenti musicali di pregio.

Salita una piccola rampa, ecco invece la deviazione che ci interessa: sulla destra, l’attacco del sentiero Marco Martinolli (circa 1050 mslm).

asini verso Rifugio Zacchi

Il sentiero Martinolli

L’imbocco, in questo caso, non lo puoi mancare. Un pannello di legno fa da bella targa commemorativa a Marco Martinolli, alpinista. L’indicazione del sentiero è doppiata da quella verso una storica via alpinistica per la cima del Nabois Grande, la Bolaffio-Oitzinger, aperta nel 1905.

Il sentiero inizia che è quasi rilassante, una vecchia carrareccia ora coperta dall’erba e dalle foglie, quasi in piano. Il tempo superare il modesto rio Zapraha e di raggiungere un enorme masso isolato nel bosco (sì e no 1100 mslm), e comincia la sfida.

Il Martinolli infatti da qui punta in alto, e non ci risparmierà nulla per le prossime due ore.

All’inizio è faggeta: cammini su un letto di foglie umide, che nascondono radici scivolose e pietre pronte a rotolarti via da sotto ai piedi. Dire che il sentiero è erto è dire poco.

Dopo la prima mezz’ora, la situazione si complica: dei corsi d’acqua – in autunno pressoché asciutti – o le piogge hanno scavato solchi ghiaiosi nella montagna. Il sentiero li affianca, fa spire per schivarli, si trasforma in strettissima cengia per attraversarli. Ogni tanto può servire afferrare un ramo di mugo – quelli ti aiutano sempre.

Insomma: anche divertente, volendo, se non fosse che serve attenzione costante, e che la pendenza intanto non molla un attimo.

La cosa bella? Ti volti, e vedi una muraglia di alberi a riempirti il campo visivo. Di fronte a te il Monte Santo di Lussari; sulla destra, il Pellarini sovrastato dalle Cime delle Rondini.

Superati un paio di attraversamenti “critici”, il sentiero è di nuovo in bosco: alcuni tornantini e sbuchiamo su una conoide di ghiaia. Ancora attenzione, i segnavia si sono diradati e dobbiamo seguire due timidi ometti che attraversano il vallone per ritrovare la retta via. Sulla nostra destra, il Nabois Piccolo.

Siamo adesso lungo un pendente canale detritico. Il nostro sentiero fa mille zig zag, la pendenza è se possibile ancora maggiore, ma eccoci infine su Piccola Sella Nabois (circa 1700 mslm).

panorama lungo il sentiero Martinolli

Panorami a 180° dalla Piccola Sella Nabois

A questo punto si capisce perché, tutto sommato, valeva la pena smazzarsi queste 2 ore di salita.

Prima di tutto, ci portiamo sulla piccola forcella che abbiamo davanti. Di fronte a noi la parete nord del Nabois Grande, tagliata in diagonale da un canalone già pieno di neve. Da qualche parte a metà della mole di roccia, si vocifera passi la mitologica Cengia dei Camosci: impossibile capire quale sia, tanto la parete è complessa nelle sue forme. Da dove ci troviamo, il sentiero continua fino a 1725 mslm, e dove c’è l’attacco della via alpinistica al Nabois Grande: ecco il perché del Martinolli, insomma.

Davide davanti alla parete nord del Nabois

Torniamo sui nostri passi. Sulla destra, si aprono nella roccia alcune postazioni della prima guerra mondiale (stando a quel po’ che abbiamo trovato in rete, “la galleria dell’osservatorio, la centrale telefonica, l’arrivo della teleferica e una postazione in cemento per un cannone da montagna”. La stessa fonte ci dice che salendo avremmo dovuto vedere diversi sentieri a condurre verso postazioni e trincee. Mah?)

Dicevamo, le postazioni. Troviamo alla fine del “piazzale” allungato un pertugio tra i mughi che sembra un sentiero. Lo seguiamo, facciamo alcune giravolte tra la vegetazione, ed eccoci su un belvedere strepitoso.

180 gradi da sballo: il “dietro” del Montasio, imponente, e le sue creste. Un puntolino rosso: il bivacco Stuparich. Una forestale che si arrampica con lunghi tornanti al Rifugio Grego. La Sella di Sompdogna (si vede benissimo la casera omonima), e più su… il nostro amato Jof di Miezegnot! Da qualche parte, al limite del bosco, dovrebbe esserci il piccolo bivacco Battaglione Alpini Gemona.

In tutt’altre circostanze siamo tornati in zona qualche anno dopo per salire finalmente sul Nabois Grande dalla via Florit per poi fare il giro ad anello percorrendo il Sentiero Chersi. Non abbiamo potuto fare a meno di sorridere ripensando alle emozioni di questo “sentiero nel nulla”.

resti della guerra

La discesa dal Martinolli

Per noi il proseguimento alpinistico è troppo. Ci scherniamo: è già tardi, non abbiamo l’equipaggiamento, abbiamo voglia di una birra al Pellarini. La realtà è che a guardarla, la parete nord del Nabois, vengono le vertigini.

Scendiamo per la via dell’andata: massima attenzione per la prima metà, grandi corse per la seconda.

In definitiva, il Martinolli è un sentiero per addetti ai lavori: una via di avvicinamento per alpinisti esperti. Ma – perché no? – può essere un modo per allenarsi a erte pendenze, in mezzo alla natura e ovviamente senza incontrare anima viva. Oppure semplicemente un modo per esplorare con occhi curiosi dove finiscono questi sentieri nel nulla.

vista sul Monte Lussari

Il sentiero Martinolli in breve

Partenza: ultimo parcheggio in Val Saisera (900 mslm)

Arrivo: Piccola Sella Nabois (1700 mslm)

Dislivello: 800 mt

Tempo: 2 ore la salita

Difficoltà: difficile. Oltre alla pendenza sempre accentuata, più di qualche passaggio richiede passo fermo e abitudine ai terreni estremamente friabili ed esposti. L’orientamento non è troppo difficile, ma i segnavia vanno tenuti sempre sott’occhio (PS: segui soprattutto quelli “angolari”, perché sono più recenti e ti evitano frane).

Cartografia: Tabacco n.19 – Alpi Giulie Occidentali – Tarvisiano (se non ce l’hai, puoi comprarla su Amazon – questa carta è un ottimo investimento!)

Sentiero Martinolli nel Tarvisiano - FVG - Pin