A caccia fotografica di cervi: la nostra esperienza

Tre cerchi di luce che si muovono nel buio. Poco più di tre aloni. Illuminano a sprazzi rami di faggio, pozzanghere fangose, brandelli di prato umido. Poi luce: un cane abbaia dall’aia della fattoria. Buio di nuovo, cerchi di luce.

Si parla a voce bassa, si cammina a testa bassa, si spera che non piova. Sono le sei di mattina nell’Agordino. Un cartello indica un sentiero, noi seguiamo la carrareccia, saltiamo un tronco caduto, attraversiamo un boschetto, ed eccoci.

Nel buio, il nostro cicerone tende il telo mimetico tra due alberi. È un sipario stravagante, lo spettacolo è al di là, ma nessuno lo solleverà mai. Sempre il cicerone strappa due buchi nel telo, ci spiega il teleobiettivo, aspetta che anch’io pianti il cavalletto a terra e ne regoli l’altezza. Ci sediamo, inginocchiamo, accosciamo, in attesa. Silvia può vantare una sediolina da campeggio.

Passano dieci, quindici minuti, con gli occhi che pian piano pensano che si stanno abituando alla luce fioca, quando in realtà sta per albeggiare. Non piove.

Movimento. Al di là dell’obiettivo, del prato, forse cinquanta metri più in là, spuntano da una scarpatina due, tre, cinque cerve femmine.

Scatto una, due foto: display nero granulare. Il cicerone scatta, regola, scatta di nuovo.

Spunta un palco di corna: non le abbiamo mai viste così regali, così evidenti, così nella natura. Scatti. Guardiamo i germogli più teneri che vengono brucati, il limitare del parco percorso, il maschio che tiene d’occhio l’harem. Poi parte, raggiunge il centro del prato. Scatti scatti scatti: è vicinissimo.

Un cervo durante l'appostamento fotografico

Il cicerone guarda il mio teleobiettivo, ora in una luce che distingue le cose: c’è un settaggio sbagliato, il cervo al centro del prato è fantasmatico, sfuocato, dannazione. Ma non importa: lo guardo tornare dalle femmine, piantarsi sulle quattro zampe, spingere il collo verso l’alto, bramire. Che roba.

Detto tra noi: prima del virilissimo, biologicamente potente bramito, il cervo maschio fa una smorfietta proiettata in avanti con la bocca, che quasi gli rideresti dietro. Poi bramisce, e cambia tutto.

L’Agordino delle sei di mattina adesso è quello delle otto, non piove, la luce è chiara e bagnata, i cervi fanno la loro vita. Noi anche: scatto, tappo del thermos svitato, scatto, tè caldo, scatto scatto, un cubetto di cioccolata.

Non siamo fanti che si fronteggiano dalle rispettive trincee, non siamo attori e spettatori. Appostamento non è il termine giusto: è più un esserci. C’è qualcosa di forte e sotterraneo e intenso e inscindibile che ci lega: noi ad una estremità del prato, loro all’altra. Noi con le nostre macchine fotografiche, il telo mimetico, grandi discorsi di etologia, loro semplicemente abitanti del Tutto, e adesso fantasmi dileguatisi nel bosco, senza fare un rumore.

Torneranno qui stasera, domani, regolari come orologi. Noi probabilmente no (ma vorremmo).

Il bramito del cervo durante l'appostamento

Come funziona l’appostamento fotografico ai cervi

Funziona proprio come lo hai letto nel racconto. Un riparo – sia esso un telo mimetico tirato tra due alberi, o un capanno apposito – la macchina fotografica con il tele obbiettivo e il cavalletto, un telo per fermare l’umidità dal suolo, tantissima pazienza.
Ma anche pianificazione, giri a vuoto nel bosco per capire cosa passa interrogando la terra che costudisce i racconti delle notte passata nelle tracce lasciate.
È Claudio di DolomitiWildlife che parla, il cicerone che ci ha fatto vivere l’esperienza di cui sopra. Autofocus che manca il soggetto, l’eterna lotta tra i tempi di scatto e la sensibilità ISO per avere una foto ferma senza troppo rumore di fondo. La scomodità nel stare seduto per terra con le gambe che si intorpidiscono ma non puoi muoverti. Migliaia di scatti, dei quali ne salvi sì e no una decina (lo scoprirai in postproduzione). Ah, ovviamente gli scatti che vedi nell’articolo non sono nulla, in confronto al lavoro di un vero fotografo.
Poi c’è una cosa forse più importante dell’equipaggiamento: devi conoscere i posti e i percorsi degli animali. Ma soprattutto devi avere tanto, tantissimo rispetto. Se ne leggono di cotte e di crude, sul comportamento di sedicenti fotografi naturalisti: e tante altre ce le ha raccontate il cicerone del racconto. E invece, la fotografia naturalistica dovrebbe essere rivestita di una forte componente etica.
Ancora Claudio. Questo tipo di fotografia dovrebbe infatti, trasmettere la bellezza della biodiversità, da cui dipendiamo anche noi. Diffidate dalle fotografie sensazionali. La natura è semplice e cosi dovrebbero essere le foto che la riguardano. A volte foto perfette nascondono una costruzione dello scatto che può essere dannoso per l’animale ritratto. Fotografare in maniera etica significa fondersi con l’ambiente, arrivare prima degli animali e andarsene via dopo di loro. Significa saper annusare l’aria e capire di essere vicini a loro. Significa delicatezza e rispetto, comunione e non arroganza.

Appostamento fotografico al cervo

Spesso gli animali che fotografi durante un appostamento si trovano in quel punto perché stanno eseguendo rituali – che siano quelli amorosi, come quelli dei cervi in autunno, oppure di alimentazione e abbeveramento, poco importa.

Claudio: disturbarli significa introdurre delle variazioni nei loro percorsi e comportamenti che possono avere conseguenze deleterie. Disturbarli significa non portare a casa nessuna fotografia, o fotografie dove i cervi sono tutti girati che scappano a gambe levate. Disturbare significa far perdere il piccolo in grembo al capriolo o l’abbandono del nido da parte del picchio nero. Tentare di rincorrerli significa una corsa inutile per noi, in quanto i rapporti di potenza sono a nostro sfavore, ma anche un pericolo per il selvatico, che potrebbe ferirsi oppure sprecare energie preziose per l’inverno.

[La gallerie che segue contiene foto di Claudio]

Dove vedere i cervi?

Hai tre possibilità:

  • Cammina in montagna. Segui sentieri meno frequentati (con tutte le accortezze del caso).
  • Convinci un fotografo naturalista a portarti. È un’esperienza che merita: non solo per l’appostamento fotografico in sé, ma anche per la grande quantità di nozioni che questa persona di sicuro ti racconterà – sugli animali come sulla montagna in genere.
  • Rivolgiti alle associazioni e ai consorzi turistici (come quello Alpago-Cansiglio) che si occupano tra le altre cose di accompagnare le persone all’avvistamento dei cervi (e di altri animali), e organizzano giornate o serate a tema.

Una cerva