La ciaspolata alla Casera delle Armente è il sentiero innevato, la luce tra i faggi, il bosco e gli innumerevoli tabià: un paesaggio montano da cartolina d’altri tempi.
Lontano dalle folle, dal Cadore più luccicante e dai preparativi per le Olimpiadi, ci troviamo a fare, inaspettatamente, uno dei più spettacolari giri che ci sia capitato di scovare negli ultimi anni (e se ci segui – magari sui social – sai quanti ne facciamo!).
Non sono il panorama (che comunque è notevole), né l’arditezza del percorso (che in realtà non presenta difficoltà): a farla da padrone qui è proprio il paesaggio, l’ambiente, la natura in tutte le sue sfaccettature.
Cosa troverai nella salita alla Casera delle Armente
Da Lozzo di Cadore a Pian dei Formai – sentiero 268
Lasciamo l’auto poco prima dell’imbocco del sentiero. La Strada del Genio è davvero stretta tanto che, in periodo estivo, si percorre solo a senso alterno.
Nei pressi di una deliziosa casa che costeggia un rivolo d’acqua, imbocchiamo il sentiero 268. Siamo subito dentro al bosco, su un sentiero la cui pendenza ci ricorda le Vette Feltrine. Anche la faggeta dorata sembra riportarci tra quei monti, e devo dire che il bosco è davvero bellissimo. Ampio, vivace e molto luminoso. Uno scoiattolo attraversa il sentiero, un cervo sfreccia nella conca sotto di noi.
Il sentiero continua con andamento piuttosto costante e pendenza sostenuta fino ai primi tabià. Qualche albero schiantato impone delle manovre di aggiramento: si deve uscire dal sentiero, ma si superano in maniera abbastanza intuitiva. Nota bene: per un bel po’ il sentiero è incassato – probabilmente per di qua salivano le mandrie agli alpeggi, o si faceva scendere a valle il legname.
Anche se il percorso è innevato, i segnavia sono ben visibili, dato che sono posti piuttosto in alto sugli alberi.
La vera bellezza del sentiero 268 però sono gli agglomerati di tabià che si incontrano lungo il percorso. Quasi dei piccoli borghi che sembrano uscire dal tempo, alcuni hanno pannelli solari e acqua corrente, altri sono poco più che ruderi con i quali il tempo non è stato molto clemente. Impossibile non perdersi ammirando il carattere e le singolarità di ciascuno.
Ho letto in un libro che nei cosiddetti “tempi che furono”, si tagliava il fieno e si recuperava la legna da punti del bosco “che sarebbero difficili da raggiungere anche per un escursionista moderno”. I tabià di queste montagne servivano a immagazzinare queste risorse prima di portarle a valle, e come riparo improvvisato per gli uomini che la montagna la lavoravano e la curavano.
Se fossimo scienziati presi dall’ansia di classificare questi tabià, beh: probabilmente impazziremmo nel tentativo di farlo! Alcuni sono poco più che cuccioli, con la porticina che ti devi chinare per entrarci. Altri sono vere e proprie case, hanno due piani, un sottotetto, porte e finestre su ogni lato. Alcuni hanno cataste contro i muri, altri tavolini e panche. In uno degli agglomerati abbiamo visto che ogni tabià aveva un lavello esterno. Pannelli solari, come ha detto Silvia, qualche rara parabola.
Non si contano barbecue più o meno improvvisati, griglie appese, caminetti.
E poi ci sono i dettagli della decorazione, nei quali io soprattutto mi perdo. Un faccione contadino mi guarda, pipa tenuta stretta nel ghigno. Su un quadretto scolorito, un angelo protegge due fratellini che attraversano un ponticello. Un segone mi dice che si potrebbe fare legna e, quindi, un bel fuoco caldo. Non si contano i crocifissi: sopra l’architrave, ma anche in capitelli appositi, di legno, dai quali le foto di persone che amavano la montagna possono continuare a guardarla. Cuori e cuoricini, qualcuno annuncia su legni scolpiti il nome del tabià, la famiglia a cui appartiene, la quota a cui si trova. Sono invece relitti dipinti a pennellate sbilenche i cartelli di proprietà privata.
Una sola cosa li accomuna, in questo momento: si stanno tutti liberando delle spesse coperte di neve, pronti per la primavera: hanno visto i primi crochi spuntare dove l’erba bruciata dal gelo sta venendo alla luce, e tra loro si dicono Dai, che fra poco qua vengono a fare le grigliate: facciamoci belli.
Ma belli lo sono già. Sono irresistibili.
Nel frattempo la neve si fa sempre più copiosa. Pochi giorni prima ha nevicato, anche se siamo già a metà aprile, e dai 1500 mslm i piedi affondano letteralmente nella neve fino ai polpacci.
É bene dichiararlo subito: non ho le ciaspole, io. Le ho tenute in zaino gli ultimi tre giri senza usarle (con conseguente peso sulle spalle), questa volta mi sono rifiutata di portarle. Davide mi guarda, sorride, indossa tronfio le sue TSL. É proprio vero: un ciaspolaro lo è sempre, anche in estate!
A quota 1646 mslm arriviamo ad un bivio: prima di seguire sulla sinistra il cartello che indica Somma di Quoilo, curiosiamo poco oltre, in località Navoi, per vedere un paio di altri meravigliosi tabià. Da qui si gode di un panorama sul Cridola e sui lontani e monumentali Spalti di Toro che toglie il fiato. Per le prossime due ore, i panorami saranno sempre così.
Ora ufficialmente il gioco si fa duro, perché ci saranno almeno 40 cm di neve fresca e, non essendo passato nessuno, tocca a Davide fare traccia, mentre io arranco dietro di lui.
Lo scenario però è uno dei più belli che abbia mai visto. Gli alberi carichi di neve, la luce che filtra tra le fronde, il manto nevoso immacolato e morbido. Difficile da descrivere, ma, per atmosfere come questa, sarei davvero disposta ad aspettare una vita.
La Casera delle Armente
Un paio di stretti tornanti e siamo sulla dorsale tra Col Cervera e Col Vidal. Siamo ufficialmente ko e la neve, se possibile, è ancora di più. Una curva evidente aggira un pendio, risale un po’ ed eccoci a Pian dei Formai (un nome, un programma).
Di fronte a noi, i resti della teleferica militare, a quota poco meno di 1900 mslm. Intorno: neve intonsa, il silenzio, le montagne lontane.
Io decido che è ora di scendere verso l’ultimo tabià incontrato, e sedermi, faccia al sole. Davide invece si dirige verso Casera delle Armente.
Guardo sulla carta: la casera sta 100 metri più in basso di dove ci troviamo. Così taglio il pendio in discesa e mi ritrovo in una bella piana innevata: l’esposizione – pieno nord – fa sì che qui la neve sia ancora più fresca e cedevole. Ciaspolare è faticoso, ogni passo si porta dietro un blocco di neve! Di fronte a me, il Monte Ciastelin e, in basso, un meraviglioso Pian dei Buoi innevato.
Da dove sono, in cinque minuti sono alla Casera delle Armente (1757 mslm). Gli edifici sono completamente immersi nella neve, il sole viene coperto per un attimo dalle nuvole, fa freddissimo. Meglio tornare da Silvia!
Così fotografo le linee precise dei tetti innevati, mi giro, e lo vedo: il forte di Col Vidal, di fronte a me, una linea orizzontale di pietra grigia a metà colle. Sopra di esso, immancabile sui forti del Cadore, un’enorme traliccio di antenne. Mi viene in mente Forte Tudaio sull’omonimo monte: una fatica dannata per salirci, e la prima cosa che vedi… è l’antennone!
Ciaspolata alla Casera delle Armente: dati tecnici in breve
Dove siamo: in Cadore, sul rilievo che separa Lozzo di Cadore da Auronzo
Partenza: Lozzo di Cadore, dalla Chiesa di San Rocco prosegui in salita verso la Strada del Genio. La stradina è strettissima (ci passa una sola macchina) e costeggiata da panchine al sole. Dove parte il sentiero c’è un piccolo parcheggio per 2-3 auto. Ti lascio qui il punto (900 mslm)
Arrivo: Casera delle Armente (1757 mslm)
Dislivello: 1040 m
Difficoltà: media. Il percorso non presenza difficoltà, tranne qualche albero caduto da aggirare. La vera difficoltà è data dall’innevamento, dato che questo sembra essere un percorso decisamente solitario. Se c’è tanta neve fresca, ricorda che i tempi si allungano!
Tempo: noi abbiamo impiegato 4 ore per la salita perché abbiamo dovuto battere traccia su neve che arrivava fino al ginocchio. In “condizioni normali” credo si possa calcolare un’ora in meno.
Segnaletica: buona. Fino a Pian dei Formai l’orientamento è semplice, anche grazie a segnavia posizionati bene in vista sui tronchi degli alberi. Da qui è necessario un po’ di orientamento per comprendere la direzione giusta.
Cartografia: Carta Tabacco n. 16 – Dolomiti del Centro Cadore (se non ce l’hai puoi comprarla su Amazon)
Trekking estivo alla Casera delle Armente
Un appunto finale solo per dire che questo non è l’itinerario classico per salire alla Casera delle Armente. Solitamente infatti si percorre in auto tutta la Strada del Genio fino a portarsi a quota 1812 mslm (Bivio dei Pellegrini), poco prima del Rifugio Ciareido. Poi si percorre il sentiero 4 in comoda e leggera salita. Fai attenzione che:
- la Strada del Genio è lunga 14 km, tortuosa ed è davvero stretta tanto che nel periodo estivo è percorribile solo in senso alterno (fino alle 13 si sale, dopo le 13 si scende, punto).
- può essere interessante proseguire l’escursione verso i ruderi del Col Vidal, oppure scendere al Pian dei Buoi
- se però hai gambe, noi ti consigliamo comunque di lasciare l’auto in basso e di percorrere il sentiero 268 per ammirare il bosco e gli improvvisi scenari che si aprono sulla valle.
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