Scriviamo questo articolo proprio nel giorno del 60° anniversario della tragedia del Vajont. Per una coincidenza, quest’anno nei dintorni della diga ci siamo stati più e più volte, di quel giorno abbiamo letto e visto, e tanto ne abbiamo parlato tra noi.
Siamo dell’idea che per ricordare serve conoscere: e quando un evento segna così a fondo un territorio, non c’è altro modo per conoscerlo che andarci, e percorrerlo a piedi. Queste sono le cose che abbiamo scoperto sulla diga del Vajont e sui suoi dintorni.
La storia, in breve
Il boom dell’idroelettrico nell’Italia del primo dopoguerra affamata di energia, una delle tante valli che vengono sacrificate al dio dell’idroelettrico (o dei schei). La storia del Vajont poteva finire così, con il lungo lago alto sopra una stretta gola, e foto delle montagne a specchiarsi sull’acqua.
La diga del Vajont, costruita tra 1957 e 1960 – e in quegli anni è la più alta del mondo (261,60 metri di sbarramento; oggi è comunque l’ottava del mondo) – è una meraviglia tecnologica… che però sconquassa gli equilibri idrogeologici della valle.
Il 9 ottobre 1963, il Monte Toc, triangolo di roccia sciolta prospicente lo specchio lacustre, rilascia in un colpo solo una frana di proporzioni inimmaginabili… fino ad un certo punto: perché le perizie c’erano, le voci autorevoli che consigliavano di rinunciare c’erano, il buonsenso popolare c’era. In fondo, per tre anni si progettano scappatoie ingegneristiche di ogni tipo. Tragedia annunciata, viene chiamata.
La frana piomba nel lago alle 22:39, causando un’onda di proporzioni bibliche che scavalca il coronamento della diga, si incunea nella stretta gola antistante e viene sparata a velocità questa sì, inimmaginabile, contro Longarone e i paesi vicini. 1910 morti, innumerevoli case distrutte, un senso di disastro, tradimento e abbandono che ancora funesta chi ha memoria.
Ci tengo a dirlo: la storia è più ramificata di così, le implicazioni più complesse. Questo è solo la sintesi davvero minima: leggi oltre per sapere dove informarti.
Erto e Casso sono con fatica tornate ad essere abitate, Longarone è un grosso centro animato. Ma il ricordo resta, come resta quell’imponente manufatto che non è stato scalfito da una catastrofe naturale.
Un cenno di geografia
La diga del Vajont si trova tra le province di Belluno e di Pordenone (la diga si trova a tutti gli effetti in questa, nel comune di Erto e Casso). Siamo nel Parco delle Dolomiti Friulane, e nello specifico alla confluenza tra la forra del Vajont e la Valle del Piave. La diga poggia a 463 metri di quota, Erto si trova a 765 mslm, e Casso poco più su, a 950 mslm.
Dal coronamento della diga, guardando verso ovest, si vede oltre la stretta forra, Longarone.
Si può raggiungere la diga:
- dal Veneto, arrivando a Longarone e salendo i tornanti della Strada Regionale 251 (al sesto tornante si trova l’accesso alla Ferrata della Memoria). Il semaforo temporizzato ci fa attendere prima di entrare nella galleria a senso unico alternato, le cui pareti ospitano targhe commemorative;
- dal Friuli Venezia Giulia, provenendo da Cimolais.
(Ri)vedere lo spettacolo di Marco Paolini
Il racconto del Vajont è capolavoro di teatro sociale fondamentale. Era il 1993 quando Marco Paolini ha recitato in RAI questa orazione civile, monologando proprio dalla diga. Chi come me l’ha visto in diretta, ricorda l’inesorabile conto alla rovescia che, tra una risata e tanti cenni di cultura veneta, ci ha fatti scivolare nella tragedia. L’ultima mezz’ora sono brividi, ogni volta che li rivedo.
Dentro c’è tutto: la storia, la geografia e la geologia, la cultura, il prima, il durante, il dopo. E c’è il silenzio dello Stato, pesantissimo.
“Longaron, povera Longaron”
Noi l’abbiamo riguardato proprio il giorno prima della visita guidata alla diga. L’abbiamo trovato su YouTube, in una registrazione un po’ scadente.
Fare la visita guidata alla diga del Vajont
Preparàti dopo aver visto Paolini, ci siamo presentati nell’affollato piazzale della diga per la visita guidata al coronamento della diga del Vajont, che dura un’ora. Si cammina sul culmine, si guarda dall’alto la vertiginosa parere di cemento. Poi ci si sposta sull’altro versante, e si osserva quanto poco è rimasto delle strutture di controllo, ma anche una riproduzione dell’ingegnoso sistema di condotte, tubi e serbatoi che avrebbe
Fare la visita guidata della diga del Vajont – che peraltro costa pochissimo – serve per dare una prospettiva fisica alle cose. la prenotazione è obbligatoria, e si fa qui.
Mentre cammini lungo la strada che porta dai parcheggi alla diga, non dimenticare di guardare le infinite bandierine che, lungo la balaustra, portano il nome dei bambini morti quella notte, o nemmeno nati.
Su un lato del piazzale, c’è la chiesa di Sant’Antonio mentre, lungo la balaustra, una targa ricorda l’ora della tragedia.
Ancora dal piazzale, si può scendere verso il piede della diga, raggiungerlo e sconsigliato, perché il versante è instabile e presenta pericolo di crolli.
Percorrere la strade di Erto e Casso
Sono due dei protagonisti della tragedia, per quanto lasciati pressoché illesi dalla gigantesca ondata.
A Erto, ti consigliamo di passeggiare per vie di pietra chiara del centro vecchio, dove scritte a vernice sui muri ancora denunciano la connivenza di SADE, ENEL e governo, e invocano Dio a ché salvi gli ertani dagli sciacalli.
“Tendo l’orecchio e sento il passo dei ricordi, della perduta casa solo una pietra cerco.”
Una Madonna dal fiasco ci guarda da una facciata, tantissimi dettagli rendono questo borgo molto elegante. A Erto inoltre abbiamo trovato molto piacevole pranzare all’osteria Gallo Cedrone.
Casso, invece, è appartata e distante. Si trova a cinque chilometri da Erto, in linea d’aria giusto sopra la diga. Paesello minuscolo, splendido da passeggiare, qui sembra davvero che la storia si sia fermata.
Visitare il museo di Erto
In realtà, è il Centro visite di Erto e Casso. Si trova all’estremità nord del vecchio abitato di Erto, e c’è un ampio parcheggio. All’interno, due sezioni distinte: al piano terra c’è una mostra fotografica che è un colpo al cuore – non solo per le ovvie foto del disastro, ma anche per quelle, commoventi, degli abitanti che guardano il lago artificiale riempirsi, e le case di una vita sparire nell’acqua…
La seconda sezione ripercorre quasi minuto per minuto la vicenda. Sembra più la presentazione di una conferenza tradotta in poster, ma è dettagliatissima e assolutamente oggettiva.
Anche la visita del museo costa pochissimo.
Percorrere la Ferrata della Memoria
C’è chi la ama e chi la critica, ma la Ferrata della Memoria per noi è stato un altro modo per entrare in questo mondo, ed è stato molto emozionante.
L’avvicinamento attraversa alcune gallerie di servizio alla costruzione della diga, e alcuni passaggi scavati nella roccia. Ma è mentre percorri i tratti verticali, sospesi sulla gola, che d’improvviso, a chiudere l’orizzonte, compare la diga, imponente: eccola, l’emozione.
Per il resto, la ferrata non è difficile (se hai un po’ di esperienza) ma è piuttosto verticale. E in estate, ci si lessa. Si sbuca alla diga, e si ritorna a piedi all’auto attraverso il sentiero nel bosco.
Leggere i libri di Mauro Corona (e non solo)
Nei libri di Corona, il Vajont torna letteralmente ad ogni angolo, così come i caratteri umani che si sono incaponiti nel riportare in vita questi abitati. Interessante ho trovato Vajont: quelli del dopo, del 2006. È un libricino di poche pagine, soltanto i dialoghi tra gli avventori del Gallo Cedrone, e non è alta letteratura: eppure, riesce a farti comprendere come sul Vajont non si siano tirate ancora le somme, e quanto contrastanti siano i sentimenti.
Un’altra lettura: Sulla pelle viva, come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont, di Tina Merlin. Libro storico (la prima edizione è del 1983), di mano della giornalista che – bellunese e anch’essa incaponita – sviscerò e portò alla ribalta dei quotidiani nazionali la vicenda.
Trovi entrambi i libri nella pagina dedicata alla letteratura.
PS Non sono gli unici libri sul Vajont.
Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d’acqua e l’acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi. Non è che si sia rotto il bicchiere quindi non si può, come nel caso del Gleno, dare della bestia a chi l’ha costruito. Il bicchiere era fatto a regola d’arte, testimonianza della tenacia, del talento, e del coraggio umano. – Dino Buzzati
Visitare il cimitero di Fortogna
La storia è un po’ complessa e carica di implicazioni (io me ne sono reso conto soltanto leggendo L’era degli scarti del geografo Marco Armiero), ma in breve è questa: il cimitero delle vittime del Vajont era un altro. Poco dopo la tragedia, lo Stato ha sentito il bisogno di realizzare un’opera monumentale.
C’è quindi ora un Cimitero monumentale delle vittime del Vajont. Si trova a Fortogna, in quella che fondamentalmente è una zona industriale di Longarone, mimetizzato tra i capannoni. Si tratta di un verdissimo campo che ospita 1910 cippi bianchi, ognuno recante il nome di una vittima. Ci sono poi alcune opere scultoree, e un piccolo museo – se quest’ultimo è chiuso, si può accedere al cimitero passando sulla sinistra dell’edificio.
Ci sono stato in un ventosissimo pomeriggio: nuvole cupe, silenzio, punti interrogativi.
Fare escursioni in zona
Se camminare è conoscere, qui di cose da imparare ce ne sono tantissime. In fondo, siamo all’interno del Parco delle Dolomiti Friulane, e la diga vista dall’alto delle montagne circostanti pare ancora di più uno sberleffo, specie perché la frana del Monte Toc è ben visibile.
Tra le escursioni in zona che ti consigliamo c’è sicuramente quella ai Libri di San Daniele e Monte Borgà (te la raccontiamo cui), che appartiene al mondo geologico opposto al Monte Toc; la già nominata Ferrata della Memoria; e poi i percorsi nel Parco, specie quelli nella vicina Val Cimoliana (un consiglio? Lo splendido giro autunnale della Val Zemola).
La salita al Monte Toc, invece, è riservata agli escursionisti esperti e dal buonissimo orientamento, in quanto la seconda parte non si svolge su sentiero tracciato.
Venire a Erto la sera del Venerdì Santo
Per noi, è stata proprio la fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Ogni sera del Venerdì Santo, dal 1631 a oggi (esclusi alcuni anni post tragedia), gli ertani inscenano una Passione di Gesù Cristo che non ha eguali. Nasceva come uno scambio: se Dio li avesse risparmiati dall’epidemia di peste, loro l’avrebbero fatta ogni anno. E così è andata.
Gli abitanti di Erto ci si preparano per tutto l’anno, i costumi da cristiani e da romani non lasciano scampo (noi abbiamo visto la rappresentazione con 9° e una leggera pioggerellina), l’intensità è palpabile. Tanto che ci siamo stupiti a sentire – o meglio, a non sentire – le centinaia di persone arrivate qui per assistere alla Passione zittirsi completamente quando la speaker ha dato il via alla scena. Ovviamente, i microfoni sono banditi, e questo contribuisce all’illusione di assistere alle vicende reali.
La Passione prosegue poi per le vie di Erto vecchia seguendo la via crucis, con Gesù e i ladroni che portano a spalla pesantissime croci di legno – la sofferenza è visibile sui loro volti. Tornati al punto di partenza, sul colletto fuori dal paese, i tre vengono crocifissi..
Di questa Passione parlano Marco Paolini nel suo monologo e Corona nei suoi libri.
La Pedonata della Memoria
Non la conoscono in molti, per cui lasciamo una piccola nota qui.
Ogni ultima domenica di settembre (verifica la data di anno in anno), vengono organizzati tre Percorsi della Memoria, di lunghezze diverse, che ripercorrono strade interrotte o distrutte nel disastro del Vajont, tra valle del Piave e Valcellina, e antichi sentieri tra i paesi. Si cammina su tracciati storici come la strada nella forra del Vajont, i troi, le gallerie idroelettriche, il ponte tubo, il coronamento della diga… ma anche la frana del Toc, e infine le vie di Erto e Casso.
La Pedonata è una manifestazione non competitiva. Qui le informazioni.
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